Luigi Tenco è considerato tra i più grandi esponenti musicali della scuola genovese. Nato a Cassine in provincia di Alessandria, è cresciuto in quella Genova della musica leggera italiana che si è ispirata ai grandi personaggi quali Fabrizio De Andrè, Gino Paoli, Bruno Lauzi e Umberto Bindi. La sera del 26 gennaio 1967 Luigi Tenco salì sul palco del Festival di Sanremo per cantare la canzone “Ciao amore ciao” in accoppiata con la cantante francese Dalida. Ebbene, quella canzone dal testo così profondo non fu apprezzato dalla critica e neanche dagli italiani di allora, tanto è vero che si classificò al dodicesimo posto su sedici canzoni e fu esclusa dalla finale. Da qui, l’abbattimento morale e la sfiducia totale di Luigi Tenco verso chi non credeva in lui, emersero fino a maturare il desiderio del suicidio nella camera d’albergo numero 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo. Lì fu ritrovato la mattina dopo, ucciso da un colpo di pistola alla tempia. C’era un biglietto scritto a mano, e più di una perizia fatta allora ha stabilito l’autenticità dell’autore: non c’erano dubbi, quel biglietto era stato scritto proprio da Luigi Tenco. Si è trattato di un atto estremo per protesta verso chi non ha creduto in lui e nella sua canzone. Un episodio che colpì il mondo intero, che fece riflettere su certe valutazioni spesso banalizzate da giudizi troppo frettolosi e superficiali. Ma come spesso accade anche in altri settori della vita sociale, restano i corsi e ricorsi storici che ci fanno riflettere ancora oggi come la fretta e la sfrenata voglia di superficialità tenda a banalizzare ogni cosa, senza porsi il perché di tante situazioni umane che spesso ci sono vicine, stanno accanto a noi, ma che tendiamo a far finta di non vedere girandoci dall’altra parte. Ognuno ha la sua storia e le propria fragilità. Ognuno ha bisogno di essere ascoltato, capito e non ignorato, bocciato a prima vista dal nostro irrefrenabile ego. Momenti di vita, di canzoni, di testi, di musica, di festival, di cantanti, di giurie, di persone, di maschere, ma anche di pienezza d’apparire senza essere. E la storia si ripete…….sempre!
Salvino Cavallaro